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Guardare in faccia la morte… e commuoversi di Andrea Pocosgnich su Teatro e critica

Si fa un gran parlare negli ultimi tempi della necessità di trovare forme e temi non consolatori per il teatro dedicato alle nuove generazioni (tema affrontato anche qui). In questo senso le parole del Leone d’Argento Jetse Batelaan hanno dato un riscontro importante e rappresentato un significativo attivatore di riflessioni e discussioni. Tonio De Nitto(pensiamo anche un lavoro come La bisbetica domata di qualche anno fa) ha spesso impostato il proprio lavoro di regista per il teatro ragazzi cercando un approccio intermedio in grado di attraversare diverse fasce di età, quello internazionalmente definito come tout-public. Questo obiettivo dunque dovrebbe essere la strada maestra per il teatro di chi guarda alle giovani generazioni volendo però coinvolgere anche gli adulti.


Al festival salentino I teatri della Cupa alcune tra le migliori esperienze sono state proprio quelle pensate per un pubblico trasversale e la nuova produzione di De Nitto, regista della Factory Compagnia Transadriatica(che organizza il festival insieme a Principio Attivo Teatro) e direttore artistico con Raffaella Romano, lavora su una complessità in grado di parlare a diversi target di spettatori, attraversando molteplici contesti e sensibilità. Mattia e il nonno nasce dalla penna di Roberto Piumini, nel 1999 in forma di romanzo, per poi trovare forma spettacolare grazie al lavoro di adattamento e riscrittura operato dallo stesso De Nitto il quale, a ragione, in questo caso, va nella direzione un minimalismo scenico funzionale al racconto.


Sul palco della Saletta Della Cultura di Novoli il racconto è affidato alla sola presenza di Ippolito Chiarello.Attraverso una prima persona decisa ma non ingombrante, l’interprete è in grado di farsi veicolo per lo spettatore tra le immagini e i simboli di Piumini, si muove a proprio agio tra i colori pastello e l’ironia morbida dell’autore: un po’ mattatore, un po’ cantastorie distaccato, portavoce disincantato di un rito di passaggio.

Se da un lato lo scrittore bresciano consegna al pubblico un materiale, come la morte di un nonno, tutt’altro che consolatorio per un giovane pubblico, la prosa qui si fa strada tramite una ricerca di leggerezza che, in virtù della volontà di astrarre elementi favolistici inseriti in un contesto invece reale, ricorda alcune piccole epopee di Italo Calvino ma anche alcuni tratti di tanta letteratura più vicina al realismo magico.


La famiglia è in silenzio al capezzale del nonno morente, quando Mattia ode nettamente l’uomo pronunciare parole che sarebbero impossibili: «Andiamo a passeggio?». Poco importa se sia l’inizio di un sogno a occhi aperti, di un viaggio tutto mentale, di un piccolo miracolo metafisico o di un accadimento soprannaturale; Mattia a passeggio con il nonno ci andrà per davvero e affrontare quel piccolo viaggio vorrà dire per lui affrontare l’ineluttabilità della morte, quel tragico inganno della vita che altro non lascia se non il ricordo della persona amata. Il viaggio iniziatico di Mattia si svolge tra piccoli insegnamenti e simboliche trasformazioni: più i due si allontanano dal capezzale e più il nonno rimpicciolisce; al contrario, il ragazzino matura fino a poter affrontare la morte del parente.



– Nonno, il ponte resta lontano – Già – Perché? – Forse lo stiamo desiderando troppo – Come? – Quando una cosa si desidera troppo, non arriva mai – […] – Proviamo a non desiderarlo – Proviamo.. – Cominciammo a non desiderare il ponte, stando lì fermi. (abbassa la testa) Io un po’ ci riuscivo, un po’ no. Quando ci riuscivo, mi sembrava che il ponte fosse più vicino.


Andrea Pocosgnich

Sala della cultura, Novoli (I teatri della Cupa) – luglio 2019

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