foto di Eliana Manca
foto di Eliana Manca
BALLATA PER LA
KATËR I RADËS
di Giorgia Salicandro
regia di Tonio De Nitto
con Sara Bevilacqua, Redi Hasa
musiche composte ed eseguite dal vivo da Redi Hasa
VoiceOver Coro
Daniela Belishova, Diana Doci, Irma Duka, Meli Haideraj, Dori Ngresi,
Lindita Ngresi, Hildebrand Nuri, Ladi "Aldo" Rista, Bledar Torozi
scene Egle Calò
attrezzista Sandra De Santis
costumi Lilian Indraccolo
luci di Davide Arsenio
sound designer Graziano Giannuzzi
produzione Factory Compagnia Transadriatica
con il sostegno di
Garante regionale dei Diritti dei minori – Regione Puglia,
il patrocinio dell’Ambasciata d’Albania in Italia
si ringraziano
il Polo Biblio Museale di Lecce,
Ama Accademia Mediterranea dell’attore,
Teatro Excelsior Carmelo Bene di Campi Salentina
Le storie di due “bambini del 1997” si rincorrono e si intrecciano nelle voci di Elvis e Lindita, partiti dal Sud dell’Albania per mettersi in salvo dall’impazzimento di un Paese in preda alla guerra civile e dal rapido precipitare degli eventi. Palazzi pubblici divelti mattone dopo mattone, il crac finanziario, i kalashnicov con cui si spara, la fuga, il viaggio che ricorda quello di Pinocchio nella pancia di una balena. Elvis e Lindita, bambini del ’97 sono tra i protagonisti delle cronache giornalistiche della tragedia della Katër i Radës - le cui tracce reali si intersecano all’opera di invenzione. Divengono qui l’occhio attraverso cui guardare questa storia, simbolo catartico del primo grande naufragio del Mediterraneo con cui non abbiamo ma finito di fare i conti.
Lambisce il racconto il mito di Kuçedra, evocato da un coro di uomini e donne albanesi, il mostro acquatico simbolo del caos primordiale, nemico dell’umanità, protagonista di molte leggende albanesi – il quale torna nelle narrazioni di ogni tempo nelle vesti di Drago, Leviatano, essere demoniaco - e del Dragùa, il bambino eletto, nato per combattere e sconfiggere Kuçedra. Attraverso l’incastro tra cronache e leggende, biografie e storie collettive le vicende dei passeggeri della Katër i Radës vengono riportate alla luce e al contempo trascese: gocce nel mare dell’eterno cammino dell’umanità, nella necessità di un approdo sulla terraferma, in salvo dal “mostro”.
Il naufragio della nave albanese Katër i Radës inaugura tristemente l’epoca degli esodi, e delle morti, nel Mediterraneo nella nostra storia recente. Come scriveva Alessandro Leogrande la tragedia della Katër i Radës «è stata uno spartiacque nella storia recente del Mediterraneo». Dopo di allora, quella storia ha conti- nuato a ripetersi divenendo la triste storia comune del Mediterraneo, dei confini serrati dell’Europa e delle morti in mare. Negli anni, è stato oggetto di diversi lavori di inchiesta e narrazione, i quali ne hanno ampiamente ricostruito e chiarito le dinamiche. Tuttavia, vi è ancora la necessità di approfondire il racconto delle singole vicende che compongono il fatto collettivo, di recuperare il contesto specifico che ha mosso quelle partenze - la sanguinosa guerra civile albanese del 1997 - di dare il giusto riconoscimento e valore all’individualità di ogni storia, che ha «il diritto di essere raccontata».
La cosiddetta “tragedia del Venerdì Santo” è avvenuta nel Canale d’Otranto il 28 marzo 1997 - quando la nave albanese entrò in collisione con la corvetta Sibilla della Marina Militare Italiana - nella quale morirono oltre cento persone, soprattutto donne e bambini stipati in coperta, di cui furono recuperati 81 corpi, mentre altri non sono mai stati trovati. Cutro (a una manciata di metri dalle coste calabresi), Pylos in Grecia sono solo alcuni tra gli ultimi, terribili naufragi divenuti simbolo della morte dei bambini.
Raccontare, dare voce a queste storie, ognuna con la propria dignità e le proprie ragioni uniche e irripetibili, è un dovere morale di tutti noi, nati per caso sulla sponda sicura del Mediterraneo. E se non è possibile rendere giustizia a ognuna di esse, come dovrebbe essere, possiamo almeno “adottarne” una, prestarle la nostra voce, diventare i suoi custodi. È quello che abbiamo cercato di fare con Elvis e Lindita, bambini sospesi tra ciò che è stato e ciò che sarebbe potuto essere.
«Un naufragio è (...) la somma di tanti abissi individuali, privati, ognuno dei quali è incommensurabile, intraducibile, mai pienamente narrabile (...). A ogni storia dovrebbe essere riconosciuto il diritto di essere raccontata, ricordata, menzionata per intero».
Alessandro Leogrande, Il naufragio
Il resto del successo di questo debutto è ascrivibile ai meriti dei bravi Bevilacqua e Lanzarone, alla buona qualità dell’intervento musicale di Hasa e alla scena di Egle Calò, che sul piedistallo circolare dove il violoncellista accompagna il sofferto racconto, fa gravare una vasta ruota alla quale, come avanzi di naufragio, sono appese strisce di legno su cui sono effigiati i volti dei ‘caduti’ della Kater i Rades. Strisce di legno che assomigliano a tavolette votive, e ancora le seduzioni di un passato remoto tornano a echeggiare, a ricordo della breve distanza che separa il nostro convulso presente dalle miserie di ieri e, a ben guardare, da quelle di sempre.
Italo Interesse, Quotidiano di Bari
22 Maggio 2024
... Uno “Stabat” corale dove la “Mater dolorosa” è la comunità chiamata a rappresentare, attraverso le voci del coro, l’inquietudine dell’umano sempre in balia della cecità del Potere. Giorgia Salicandro con la sua tessitura di parole ci conduce nella vicenda della Katër i Radës presentando due testimoni: Elvis e Lindita, due bambini. Attraverso balzi temporali ci aiuta a visualizzare momenti diversi della storia alba- nese, i tragici fatti che originarono la seconda ondata di fuga dopo quella degli inizi degli anni Novanta che segnarono la caduta del regime di Enver Hoxha, ma anche, raccontando il “desiderio” irrealizzato di Lindita, momenti a noi più vicini: il tempo della pandemia, nel marzo del 2020, con i medici e gli infermieri albanesi chiamati ad “aiutare” in Italia, segno della gratitudine e dell’impegno del popolo albanese per una terra, la nostra, che nonostante tutto, si è sempre dimostrata vicina e solidale. Lindita e Elvis sono il simbolo di quell’umanità che oggi soccombe, l’innocenza di chi chiede pace, rispetto, un’altra possibile vita.
Mauro Marino, Spagine