top of page

Vincenzo Sardelli parla di (H)amleto su Studi Cattolici

  • Vincenzo Sardelli, Studi Cattolici
  • May 29
  • 4 min read

(H)amleto, ovvero la forza della diversità Viaggio tra vita, follia e morte al Franco Parenti di Milano


(H)amleto: quando il teatro scuote e ride, tesse e fa tremare. Quello che abbiamo visto al Teatro Franco Parenti di Milano, prodotto da Factory Compagnia Transadriatica e Fondazione Sipario Toscana, guidato da Tonio De Nitto e Fabio Tinella, non è solo un adattamento di Shakespeare. E' il suono di una rivisitazione che rifiuta qualsiasi convenzione. Non è un “teatro sociale” nella sua accezione più banale. E' una creazione coraggiosa, un’impalcatura che solleva, frantuma e reinventa la tragedia. Qui, il mito si mescola alla vita vissuta, alla mente dell’attore con la sindrome di Down, Fabrizio Tana. E' lui, con il suo bagaglio di sogni, pensieri, gioie e inquietudini, che ci presenta il suo (H)amleto. “Suo” come non mai. Non si può semplicemente guardare: bisogna sentirlo, partecipare al suo travaglio di parole, di messaggi, di frammenti.

Il titolo stesso non mente: quell’H non è solo un accessorio. E' la chiave di una trasformazione profonda. Lì dove il non essere e l’essere di Shakespeare diventano esperienze tangibili, urticanti. La mente del principe danese non è mai stata così vicina a quella di chi vive un’esistenza lacerata da mille pensieri, mille domande senza risposta. «Essere o non essere» non è più solo una domanda filosofica. E' una pulsione, un grido dal cuore, una ricerca disperata di sé. E tutto questo, nel testo di Fabrizio Tana, emerge con una forza scomposta. Tra la poesia e il caos, il messaggio è forte, incandescente. Un linguaggio tutto suo, sgrammaticato e potente, che non dissimula il dolore, ma lo trasforma in qualcosa di assolutamente tangibile.

Un linguaggio che diventa uno strumento di espressione esistenziale. Le parole di Fabrizio Tana, frutto di Whatsapp e lettere scambiate con le sue guide, non sono semplici appunti. Sono frammenti di un’anima che si espande, esplo- de, e si svela. Perché è proprio questo il cuore pulsante dello spettacolo: non la distanza tra il personaggio e l’attore, ma la loro fusione. Il personaggio è Fabrizio Tana. E Fabrizio Tana è il personaggio. E quel to be non è più un astratto enigma filosofico, ma il perno su cui gira l’intera ricerca della compagnia.

Factory Compagnia Transadriatica, che da anni esplora il territorio del teatro sociale e delle diversità, raggiunge qui l’apice della sua indagine. E lo fa in modo esplosivo, spiazzante, senza paura. Lo spettacolo non è “facile”, ma invita chi lo guarda a un’esperienza di immersione totale. Il palco, con il suo candelabro sbieco che sembra una corona cadente, un’umanità morente al centro, il velo che si apre su nuovi mondi, è una tela, un luogo dove l’inquietudine e l’energia si mescolano con armonia. La scena, curata da Egle Calò, è un tripudio di corpi, voci, luci e suoni. La figura di un Amleto stridente con i costumi d’epoca degli altri personaggi, Amleto con felpa, cappuccio e le scarpe dorate, è tanto un ragazzino moderno quanto un re decaduto, un principe tormentato che non trova pace dalla notte dei tempi.

Gli altri attori (con Alessandra Cappello, Lara Capoccia, Anna Giorgia Capone, Nicola De Meo, Antonio Guadalupi, Silvia Lodi, Alessandro Rollo, Antonella Sabetta, Stefano Solombrino, Diomede Stabile, Carmen Ines Tarantino, Fabio Tinella) non solo professionisti, sono imprescindibili da questo racconto. Anna Giorgia Capone è Ofelia in carrozzina e in un tripudio di fiori. Essa solleva il tema dell’amore spezzato e della perdita. Diomede Stabile è lo zio Claudio, in bicicletta, tanto grottesco quanto inquietante. Il becchino Nicola De Meo, con le sue filastrocche, è il guardiano di una realtà spietata, ma anche carica di una bellezza crudele.

Ma non c’è solo la tragedia. Ci sono anche la tenerezza, la comicità, l’assurdo. E non possiamo dimenticare il tocco di dolcezza che permea l’intero spettacolo, come una brezza che sfiora il viso. E la musica de Il Perduto amor si mescola a Ma ‘ndo vai se la banana non ce l’hai? in un carosello di emozioni contrastanti. Le atmosfere sonore di Paolo Coletta accompagnano e trasformano ogni scena in un’esplosione di vita. L’allegria delle melodie nasconde la tristezza di un mondo che è già morto, che giace in un angolo, ma che ancora lotta per restare vivo. Questo è il contrasto magnifico, crudo, vibrante, di (H)amleto: l’esplosione di energia da parte degli attori, la vitalità che si spri- giona dai loro corpi, che non si rassegnano alla morte, nonostante il destino.

L’esperienza del pubblico, di chi è stato spettatore, non può che essere segnata da questa continua contraddizione tra il dinamismo dei corpi, la vitalità delle loro performance, e la morte che permea ogni scena, ogni parola. Perché se c’è un tema che attraversa questa creazione, è proprio quello del trapasso. Che non arriva mai come un “passaggio” naturale, ma come una costante minaccia. Un’ombra che non si stacca mai dal personaggio di Amleto, ma che si riflette in tutti gli altri, che si sparge, insinuandosi tra le pieghe del racconto. La morte è lì, ma non è mai inerte. E' sempre qualcosa che vibra, che respira attraverso i corpi degli attori.

Gli stessi attori, giovani, pieni di vitalità, danno a questa rappresentazione una forza incredibile. Ogni loro movimento, ogni parola che pronunciano, è una dichiarazione d’intenti.

Non siamo qui per compiangere i nostri personaggi. Siamo qui per mostrare che tutti, ciascuno con le proprie diversità, è capace di attraversare le stesse tragedie, gli stessi sogni, le stesse follie. Siamo vivi, con la nostra energia e la nostra passione. E non importa che la morte ci perseguiti: noi continuiamo a lottare.

E così, la vitalità esplode come una furia, come un’urgenza di vita, anche mentre i personaggi muoiono, uno ad uno.

(H)amleto (in arrivo a Napoli, al Teatro Mercadante, il 18 giugno per il campaniateatrofestival) è una creazione straordinaria. Un affresco che, pur nella sua follia, riesce a incapsulare la verità di un’esistenza. E lo fa con la leggerezza della sua scrittura, con la comicità che disarma e la tragicità che scuote. Ogni attore, con il suo corpo, con il suo volto, con il suo essere, dà forma a un messaggio che ci riguarda tutti. Non c’è nessuna distinzione tra le varie espressioni di diversità, tra le varie accezioni della normalità. Il palco diventa il luogo dove le barriere cadono, dove le esistenze si uniscono, dove la follia diventa l’unica verità possibile. In una parola: il teatro è vivo, come il sangue che scorre nelle vene degli attori, come il battito del cuore di ognuno di noi. E nessuna morte potrà mai davvero spegnere quel battito.





Comments


Post in evidenza
Post Recenti
Cerca per tag
Seguici
  • Facebook Basic Square
  • Twitter Basic Square
  • Google+ Basic Square

© 2022 Associazione Culturale Factory Compagnia Transadriatica

  • Facebook - Black Circle
  • Twitter - Black Circle
  • YouTube - Black Circle
bottom of page