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Romeo e Giulietta fuori dal melenso

Non ho mai particolarmente amato il Romeo e Giulietta shakespeariano a mio avviso un po' troppo melenso e sempliciotto e abbastanza povero della poesia solitamente elevata del grande drammaturgo inglese. Quanto visto sul palcoscenico del Teatro Menotti, un Romeo e Giulietta interpretato da sette giovani attori di talento, diretti da Tonio De Nitto e adattato e tradotto da Francesco Niccolini, si sbarazza di ogni melenso trasformando la tragedia shakeasperiana in una commedia corale, filante e divertente, per raccontare lo scontro generazionale tra madri, padri e figli.

Già nel foyer una semplice invenzioncina da nulla attira e coinvolge il pubblico in attesa di entrare in sala: i genitori di Giulietta, i Capuleti, avvicinano il pubblico distribuendo "santini" elettorali invitando a gran voce a votare Capuleti come signore di Verona. Questo piccolo scherzoso giochino introduce di fatto a un divertente e piacevolmente convulso prologo in sala mentre gli spettatori prendono posto. Sul palco luminarie che rievocano sagre patronali del nostro Sud. In sala un caotico correre e rincorrersi di attori, chi alla cerca di Mercuzio e chi a quella di Giulietta. Il pubblico è coinvolto, anche fisicamente, da questa sarabanda, che più di una volta attracca a felici esiti di calcolata clownerie: il tutto guidato, trascinato da un simpaticissimo Dario Cadei, qui nel ruolo di balia di Giulietta, in grande condizione per tutto lo spettacolo con una gestione del corpo che spesso ricorda movenze di personaggi di cartoni animati stile Hanna & Barbera.

Il vero inizio dello spettacolo è la presentazione dei personaggi attraverso una voce megafonata stile Luna Park: "sette interpreti impegnati con tripli salti mortali in doppi ruoli diametralmente opposti l'uno all'altro", come giustamente sottolinea il programma di sala.

Il testo su cui Tonio De Nitto ha plasmato uno spettacolo gradevole è stato redatto da Francesco Niccolini che in una traduzione arguta alterna versi rimati dei vari protagonisti a un linguaggio familiare dei dialoghi tra i due innamorati fino al linguaggio "urlato" forte e spregiudicato del padre Capuleti nei confronti della ribelle Giulietta.

In una Verona meridionalizzata e fuori da collocazioni temporali precise si svolge la storia dei due amanti in cui è, come già ricordato, lo scontro generazionale a imporsi quasi a venire scavato da una regia attenta e divertita nella contaminazione, più o meno apparente, non solo dei linguaggi verbali, ma anche e soprattutto di quelli teatrali. Vi è contaminazione, forse anche esasperata, nella scelta dei sottofondi musicali da leccati valzer viennesi a una strapaesana Raffaella Carrà in Que fantastica fantastica esta fiesta, sottofondo alla "fatal gran festa" in cui per la prima volta si incontrano incoscienti e innocenti i due giovani. Tra gli azzeccati attrezzi scenici di Roberta Dori Puddu (esteticamente raffinata e semplicissima l'alcova dei due amanti), le "barocche" luminarie paesane di Cesario De Cagna e il continuo scambiarsi di ruolo tra i vari interpreti lo spettatore è accompagnato all'epilogo tragico in una sovrapposizione di piani di lettura che gira tutt'attorno all'impossibilità della realizzazione del desiderio contro l'arroganza del potere.

Oltre al già citato simpaticissimo e ottimo per tutto lo spettacolo Dario Cadei (ora balia spassosa, ora principe algido) tutta la compagnia si è mostrata affiatatissima e all'altezza di questa "sgangherata" intelligente rilettura dell'opera shakeasperiana. Angela De Gaetano (Giulietta) e Fabio Tinella (Romeo), giovani d'oggi infilati in vistose cuffie stereo, sono bravi a non scivolare in manierismi abituali per simili testi. Sono piaciuti, ciascuno in un doppio ruolo, Luca Pastore (un irridente Mercuzio), Ippolito Chiarelli (un iroso padre Capuleti), Filippo Paolasini (un Baldo di vigore) e infine Lea Barletti (Madre Capuleti e padre Montecchi) significativa nei due ruoli arroganti del potere senza cambiare abito: un cappello e una giacca maschile per passare da un clan all'altro.

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