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"Spoon River e il tempo del carcere"

Lei ci prova, e ce la fa. Lei è Paola Leone, anima fiera (nomen omen) e tenace di Factory Compagnia Transadriatica. Ce la fa con "Io ci provo", il laboratorio/percorso teatrale che ha fortemente voluto (autofinanziandolo) per i detenuti della sezione maschile della Casa circondariale Borgo S. Nicola di Lecce. Il percorso di teatro-carcere che ha condiviso con Antonio Miccoli e Fabio Tinella, in realtà inizia prima dello scorso 2 novembre, quando ha cominciato le sue 60 ore di lavoro.

L’esperienza di teatro-carcere (una categoria che non le piace, come tutte le categorie) l'accompagna fin dai tempi della formazione attorale presso Koreja e trova sbocco professionale nel 2005 fra le mura del carcere di Taranto, la città dove è nata. È qui che entra per intervenire nella sezione femminile ed è forse qui che inizia a concepire sempre più distintamente le tonalità possibili di quello che forse potremmo definire un “teatro di necessità”, una modalità del teatrare come dimensione della trasformazione che oggi più che mai ha da insegnare al teatro.


Sicuramente è accaduto ieri in occasione della rappresentazione di chiusura di "Io non sopporto niente e nessuno, nemmeno Spoon River", un non-spettacolo che in realtà è riuscito ad essere molto più spettacolo di quanto non accada in alcuni (non tutti, per fortuna) "teatri di fuori". Un viaggio alle origini dell’emozionarsi che, per il fruitore, inizia al cancello d’ingresso della casa-città carceraria. Chi desidera partecipare alla rappresentazione deve deciderlo prima, giacché la macchina burocratica richiede le generalità, e limita il numero dei partecipanti. La fila di chi ha deciso ed è venuto si compone lentamente e con altrettanta lentezza il personale penitenziario controlla i documenti. Un preludio affaticante, quasi claustrofobico, ma coerente con la circostanza e le scelte drammaturgiche, tutte nate in divenire, nel fare laboratoriale, durante prove nel tempo dilatato della reclusione.


Pensare all'antologia poetica di Edgar Lee Masters come testo sul quale lavorare teatralmente è stato del tutto casuale: era il giorno dei morti. Poi però quello che all'inizio era solo un pretesto, è diventato non solo pertinente, per il riferimento al tempo che scorre sempre uguale, ma, fisicamente, l'unica copia del libro, ha iniziato a 'vivere' nel quotidiano dei detenuti: a conferma di quanto un libro può, anche, e forse particolarmente, dove un libro non è mai entrato.Un prologo presenta i non-attori: è la voce di Toni Servillo che legge "Hanno tutti ragione" di Paolo Sorrentino, un elenco infinito di dettagli dell’insopportabile fino ad inglobare quel "me stesso" che una sola cosa riesce a tollerare: la sfumatura. E mentre quel frammento di audiolibro enumera i limiti assoluti della sopportazione in condizione di non-libertà del movimento, 12 persone si muovono al rallentatore dal palco verso la platea, scendono piano e, via via attestandosi, dicono con il loro corpo "ciò che vorrei": una gita in macchina con la mia famiglia, un viaggio in barca a vela, il bambino che non ho mai avuto... La collina del cimitero dove ogni notte il rito riproduce se stesso prende vita attraverso abiti di scena prestati dalle stesse persone che in quel momento assistono alla vestizione dei non-ruoli: tutto è selezionato con cura e ognuno dei non-attori ha scelto un non-personaggio attraverso la risonante voce interiore di una vita a metà tra il dentro e il fuori. La figura orchestrante, a lato dell’azione scenica, è quella di un angelo (forse custode) che, in abito bianco, accompagna gli attori fino al compimento della rappresentazione conducendone l'emozionante epilogo: non appresa a memoria per l'occasione ma conosciuta da sempre per averla ascoltata da bambino, è lui che chiude il tempo delle parole recitate con "A Livella". E con gli applausi, tanti, esplodono gli inchini.


Il tempo della rappresentazione è breve ma c’è tutto quello che può definire ciò che l’impegno professionale del teatro è e deve essere, soprattutto in questo 'qui e ora' che fa dell’essere professionisti (della cultura, ma non solo) esseri umani di coraggio. Leoni e leonesse...

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