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(H)AMLETO visto da Tommaso Chimenti su Cultura Commestibile del 27.04.24


(H)Amleto: disabilità per un sublime Shakespeare




Abbiamo visto decine, innumerevoli Amleto. Non tutti memorabili. Ma Amleto è e resta il Teatro. E ci sono Amleto che colpiscono più di altri. E' il caso di questo "(H)Amleto", progetto pugliese del regista leccese Tonio Di Nitto (prod. Factory compagnia transadriatica, FTS), dove quell'acca davanti tra parentesi non sta, secondo noi, per il riduttivo handicap ma per la coniugazione del verbo avere, per l'immedesimazione, la partecipazione endemica, semantica, cutanea dell'attore che interpreta il Principe di Danimarca e il suo ruolo divenendo un tutt'uno inscindibile con la sua persona. Come dire: "Io Ho Amleto. Dentro". Incontriamo infatti il protagonista nel foyer e ci dice: "Piacere, io sono Amleto". La compagnia Factory è attiva dal 2009 e si divide tra prosa ("Sogno di una notte di mezza estate",

"La bisbetica domata", "Romeo e Giulietta", "Il fantasma di Canterville") e teatro per ragazzi ("Hamelin", "Cenerentola"). De Nitto in questi anni ha sviscerato Shakespeare ma qui compie un grande salto, un'operazione non soltanto sociale ma culturale, di cambiamento radicale delle prospettive: far riscrivere il testo, la partitura dei dialoghi di Amleto, all'attore con sindrome di Down che lo interpreta, Fabrizio Tana, che qui ha riversato il suo vivere e vissuto, i suoi giorni e sogni, il suo amore e le sue ossessioni.

Una drammaturgia sgrammaticata, infantile e adolescenziale, contorta e ridondante e traboccante di errori sintattici ma vivida, fresca, toccante, profonda e incisiva. Da questa esperienza nascerà anche un volume con i testi di Tana correlati dalle tavole della disegnatrice Valeria Puzzovio. E' un "(H)Amleto" (visto alla Città del Teatro di Cascina, dove al bar offrono gratuitamente bottigliette d'acqua e caffè) colto e diver-tente, colorato, raffinato e ricco di invenzioni già dalla prima scena dove i personaggi principali stanno attorno, morti, al cadavere del Principe in una sorta di circolarità finale: Amleto ha le scarpe luccicanti glitterate e felpa con cappuccio ben calcato sulla testa da rapper e periferia d'asfalto duro, lo zio Claudio è in bicicletta, Ofelia in carrozzina, Rosencrantz e Guildenstern sembrano inglesi con la bombetta usciti da un quadro di Magritte o dalle messinscene di Rem e Cap o ancora somiglianti ai Blues Brothers. Esplosivi i due becchini tra filastrocche e vecchi proverbi, danno brillantezza e leggerezza e pulviscolo di coriandoli. Iconiche e spiazzanti sono le scelte musicali che vanno dalla "Voglio vivere cosi" alla "Sei forte papa di Cimi Morandi, a "May head is a jungle" di Emma Louise a "Ma se la banana non ce l'hai?" fino a "Perduto amore". Il dettaglio-fulcro di questa analisi scenica è il gigantesco candelabro medievale che grava e gravita sulle loro teste, un paralume che è formato da due corolle che sembrano due corone, una di Re e l'altra più piccola concentrica di Principe, corone di spine, candeliere che si storce, come gli oggetti di Dali, le scale di Escher o le teste di manichino di De Chirico, e si riallinea tra realtà onirica e incubo visionario. Altro segno scenico funzionale ma che diventa cifra e sottolineatura è l'apertura triangolare sul fondale come fessura dell'Origine del Mondo, come la locandina di 007, come i simboli sulle divise dei componenti delle astronavi in Star Trek. Qui dietro, in questo doppio binario, nell'universo che si affaccia da questa fenditura, si apre un'altra scena fatta di apparizioni fugaci e furtive, di flash abbaglianti che arrivano, colpiscono e spariscono; è la mente affollata e disturbata del principe che si apre come vongola, come ostrica, come buco della serratura, come taglio di Lucio Fontana per sbirciarci dentro: il padre di Amleto è un ectoplasma senza forma bianco lattiginoso con smerigliature viola, quasi una medusa melliflua incorporea e fumosa, il funerale di Ofelia che passa in un rosa shocking. Amleto ruota la sua spada a terra come faceva Ennio Doris, fondatore di Banca Mediolanum, con il bastone nel suo famoso spot, mentre il sarcasmo del becchino Nicola De Meo ci ha ricordato la causticità del comico Valerio Lundini.

Ci è piaciuto anche Fabio Tinella nel ruolo di Orazio. Curioso il parallelismo e associazione tra il teschio di Yorick e una parrucca rossissima folgorante (quasi come quella celebre della pellicola "Closer") che doveva incarnare lo spirito di Francesca Deagostini, ginnasta italiana realmente esistente, della quale Tana è invaghito citandone curriculum e gesta sportive. Un Amleto illuminato di stupore e magia, meraviglia e mistero, al quale quell'H non toglie nulla ma aggiunge. Dopotutto l'H è muta, come ci insegna Django.

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