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Hubu re raccontato da Franco Ungaro per Quotidiano di Puglia

Nel momento in cui gli adolescenti di tutto il mondo invadono strade e media per assicurare un futuro pulito e sostenibile al nostro pianeta c’è una sfida altrettanto importante che investe le società globalizzate. Riguarda le discriminazioni e i pregiudizi nei confronti dei deboli e dei diversi che oggi vede nei migranti e nei disabili i soggetti più fragili e mai adeguatamente difesi.

Succede che nell’ambito del programma di cooperazione Interreg Grecia Italia e del progetto Cross the gap il Comune di Bitonto, la compagnia teatrale Factory e il Comune di Lecce insieme ad altre istituzioni greche stanno raccogliendo quella sfida sostenendo la produzione di uno spettacolo teatrale di grande impatto andato in scena nei giorni scorsi, dapprima nel Teatro Traetta di Bitonto e poi ad Amaliada in quella parte di Grecia dove nacquero i giochi olimpici per i quali si interrompevano tutte le guerre in corso.

Lo spettacolo ha messo in campo alcune delle migliori energie artistiche del nostro Sud, dal regista Tonio De Nitto sempre più ispirato e motivato, agli attori Fabio Tinella, qui in veste anche di aiuto regia, Antonio Guadalupi e


Marcella Buttazzo, dal Fablab di Bitonto che insieme a Iole Cilento e Porziana Catalano hanno ideato e costruito oggetti e scenografie in 2D ispirate dalla simbologia patafisica, ai costumi eleganti e bizzarri di Lilian Indraccolo e soprattutto alla nutrita schiera di giovani attori e attrici con disabilità che a Lecce e nel Salento praticano da anni teatro (Francesco Stefanizzi, Fabrizio Tana, Stefano Solombrino, Alessandra Cappello, Nicola De Meo, Alessandro Rollo). Sul versante greco ha impegnato un gruppo di giovani attrici che si cimentavano per la prima volta in un progetto produttivo di così alto profilo artistico e sociale (Georgia Kalogeratou, Eleni Ntanzelo, Angeliki Rozi, Ioanna Delipalta). L’asfittica scena teatrale regionale si risolleva così con progetti che lanciano lo sguardo oltre i ristretti confini estetici e teatrali, guardano al sociale, al racconto della realtà, in un incontro fecondo con le comunità e le persone, coniugando arte e impegno sociale.



E arriva così in scena l’Hubu re (con l’H indice della disabilità), il capolavoro scritto nel 1896 da Alfred Jarry non ancora ventenne per dissacrare e deridere il suo professore di fisica, un testo diventato negli anni banco di prova per registi e attori ma soprattutto manifesto per scandagliare in profondità le dinamiche e le logiche del potere a qualsiasi latitudine e di qualsiasi natura. Un testo sempre più attuale che leggeva in anticipo la penetrazione di quelle dinamiche e logiche dentro la società e persino nelle relazioni interpersonali e sociali con uno scambio fluido e continuo fra padroni e servi, tra denigratori e denigrati, fra vincitori e vinti e, perché no, fra destra e sinistra. Tendenze impossibili da invertire con le stesse armi della politica e delle guerre, quelle guerre ridicole e meschine che non si fanno per risolvere i conflitti ma per crearne di nuovi. La grandezza di Jarry e la bellezza dell’Ubu re viene dal gioco del teatro che abbatte confini e limiti, regole e convenzioni. La compagnia Factory regala una galleria di personaggi-maschere-cartoons che entrano ed escono con straordinaria freschezza e libertà dalla trama e dalle convenzioni, in un gioco anarchico e liberatorio che lascia spazio all’invenzione e alla sorpresa, al piacere che viene dal non senso, al grottesco che viene da posture e movimenti clowneschi , all’alternarsi di musiche ballabili fissate nella nostra memoria, da Gloria Gaynor a Doris Day. Il teatro e l’Hubu re in particolare diventa dispositivo artistico e sociale dove scompare ogni confine tra normalità e handicap, tra realtà e fantasia, tra vita e teatro, tra vincitori e vinti, tra passato presente e futuro in un rovesciamento di condizione e di sentimenti che ci proietta nello spazio e nel tempo dell’utopia dove poter azzerare le differenze sociali e valorizzare le diversità culturali. I volti delle attrici e degli attori sono coperti da abbondante cerone , i loro corpi indossano e cambiano spesso costumi di scena eppure nessun cerone e nessun cambio di costumi riesce a coprire o nascondere l’assurdità e incongruenza della sete di potere e delle guerre di ogni genere che si dichiarano ogni giorno. Uno spettacolo-progetto che potrebbe orientare e accompagnare le nuove politiche di cooperazione nel Mediterraneo mettendo al centro le persone con le loro diversità, favorendo l’irrompere di nuovi soggetti sociali nella produzione di una cultura liberata dalla tirannia del consumo e dell’effimero.

Franco Ungaro

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