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CORRI, DAFNE! visto da Ilena Ambrosio per PAC paneacquaculture.net

Differente il discorso per Corri, Dafne!, dalle Metamorfosi di Ovidio, scritto e interpretato da Ilaria Carlucci per una produzione di Tessuto Corporeo e Factory Compagnia Transadriatica.


Solo l’interprete in scena, lei, la sua voce e il suo corpo. Ci appare in un fascio di luce che taglia il buio, cantando una nenia, come a volerci acclimatare all’atmosfera del racconto. Silenzio, e dopo un attimo la ritroviamo al centro, su un parallelepipedo di legno, a iniziare il racconto. Indosso abiti dai colori “boscosi”, scarponcini, i capelli che cadono sulle spalle. Racconta e insieme vive il racconto; è narratrice ma allo stesso tempo è la neonata ninfa Dafne dalla chioma arruffata che esplora il proprio ecosistema e il proprio stesso corpo; è le ninfe sue sorelle, è il fiume Peneo suo padre; è Apollo, è Cupido. “Semplicemente” con pose, gesti e inflessioni della voce – una vera melodia – Ilaria Carlucci plasma queste figure con straordinaria efficacia e vividezza. Le ninfe leggiadre e vezzose sedute di profilo a pettinarsi i capelli, le loro frasi si concludono in sillabe ripetute, eco che si dipana nel bosco; il fiume steso di profilo sul cubo di legno, le gambe e le braccia ondeggianti, la voce possente; Cupido, nella sua tipica posa “a S”, piccolo monello che agisce per dispetto.

Ci rapiscono questi ritratti disegnati dalle lunghe braccia bianche e flessuose dell’interprete, dalla sua figura longilinea che ritroviamo sul fondale in ombre disegnate dalle intelligenti e sensibili scelte luminose di Alberto Cacopardi (sua anche la regia). Ci pare di vederle quelle scene, raccontate da un testo capace di trovate spassose (Cupido è simpaticissimo!), di icasticità (splendida la descrizione delle diverse ninfe che si preparano al matrimonio), di ritmo incalzante ma anche di lirismo e drammaticità.

Di queste ultime tinte si colora il finale: la disperata fuga della ninfa inseguita da Apollo, accompagnata dalle suggestiva melodia del violino di Maarja Nut, si conclude nella metamorfosi. Sotto un cono di luce sempre più stretto Ilaria Carlucci scopre la schiena ossuta, le vertebre come venature legnose di una corteccia, le braccia, rami nodosi che si sviluppano verso l’alto. Dafne è lì, in quel tronco, in quei rami; non prigioniera, ma tornata alla sua Madre Terra per preservare la propria libertà: «Eppure nel fondo del fondo di quel tronco duro il suo cuore batte ancora».


Pur nella morte della metamorfosi, una chiosa vitale, come brulicante di vita, colori e suoni era stato il racconto portato avanti con nient’altro che un corpo, una voce, un cubo di legno. Un bell’esempio per le nuove generazioni, oramai abituate a raccontare e raccontarsi tramite schermi, strumenti, altro da sé. Ma Corri, Dafne! ha anche un “sottobosco” drammaturgico che, per chi voglia scavare, offre la possibilità di pensare al senso della libertà di essere, a dispetto dalle costrizioni, delle convenienze. La libertà di correre e correre, lontano da ciò che non ci appartiene, affondando le radici nell’humus che può darci vita. Un vero dono questo racconto. E un incontro sincero.



CORRI, DAFNE!

tratto da Metamorfosi di Ovidio di Ilaria Carlucci e Alberto Cacopardi con Ilaria Carlucci regia Alberto Cacopardi drammaturgia Ilaria Carlucci consulenza artistica Tonio De Nitto disegno luci Alberto Cacopardi produzione Tessuto Corporeo e Factory Compagnia Transadriatica .

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