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Vite bidimensionali sul palco del "Mariele Ventre"

Sasso di castalda – Tutto è in due dimensioni, perfino il sigaro e l’innaffiatoio di Gremio, gli strumenti musicali di Ortensio e così tutta la scenografia che è come di cartone e si muove su delle rotelle, così da mostrare ora l’uscio dei palazzi, ora l’interno dove nascono le trame e le discussioni. Anche la recitazione spinge sulla leggerezza delle “due dimensioni” e quindi del gioco, quasi fossero tutti pupazzi che un bambino mette nella sua casetta fatta con una statola di scarpe.


“La bisbetica domata” della “Factory Compagnia Transadriatica” in scena al “Mariele Ventre” di Sasso Di Castalda per la prima serata della stagione de “Le valli del teatro”, è costruita come un terribile gioco nero, perché la profondità che manca agli oggetti e alla scenografia, ai caratteri e perfino alla violenza diventa, nella magia della regia del bravo Tonio De Nitto e nella precisione e bravura di tutti gli attori, un modo per prepotentemente pungolare il pubblico. Come in un lungo paradosso l’intero spettacolo ha messo insieme la leggerezza, dovuta anche al testo reso tutto in rima, alla drammaticità assoluta che approfitta proprio di un certo tipo di vuoto psicologico e poetico. Così come mancano le dimensioni al gioco di cartone che la compagnia ha costruito sul palcoscenico, così l’assenza di sentimento, l’assenza di amore rovina con tutto il suo carico di nulla sul pubblico; questo avviene quasi tutto in una volta, nell'incredibile monologo finale di un’affascinante Caterina interpretata magistralmente da Angela De Gaetano che conclude con una frase cantata ( la stessa che un cinico e particolarmente dark Petruccio ripete più volte durante lo spettacolo), facendo coincidere, anzi scontrare come in un incidente, i principali filoni filosofici di questo spettacolo: l’effetto è di una drammaticità scurissima, nera come una caverna fredda e umida in alta montagna dove ancora è fumante il sangue della vittima di un orso.


Il finale è come se colorasse, come se riempisse il vuoto delle due dimensioni con disperata angoscia. Un macigno lanciato sul pubblico, subdolamente, poco prima che il sipario si chiudesse. L’ora e mezza di messa in scena è volata: molto finemente il lavoro drammaturgico, le musiche e i movimenti al limite della perfezione danzante tipica delle marionette, hanno sottolineato e in qualche modo custodito, da una messa in scena rispettosa della poesia e dell’ironia originale, l’orrore verso la ribellione che viene mostrata in modo forte nel testo shakespeariano. Caterina è l’errore da combattere, ma non è esente anche lei da un certo grado di frivolezza che sta nel suo vivere in mezzo tra l’adeguarsi e la rivoluzione. De Nitto ruba le sue maschere alla commedia dell’arte e infatti sono come fantasmi i personaggi che si muovono attorno alla bisbetica che appare subito diversa, subito aliena rispetto a quella comunità di maschere.


E’ squisita poi la scelta di far interpretare Bianca a un uomo, questo dà anche un tocco di nostalgia da teatro elisabettiano, per il suo valore lirico. La Bellezza, la femminilità profonda e il fascino sono vestiti che indossa la sola Caterina,la quale è l’unica capace, anche per questo, di ribellarsi. Cede alla fine anche lei, con tutta la violenza della modernità; il suo volto sfiorito per la violenza subita dà solo la parvenza di aver interrotto il gioco,perché in realtà è un’esiliata nel suo stesso corpo e dalla sua stessa vita, non è più, non esiste.


La bidimensionalità dell’esistenza, dove manca profondità, peggio di un’alienazione perché è come un disegno superficiale di sé, è assenza, è nulla. Alla fine i sentimenti li mette il pubblico, l’odio per Petruccio bieco e violento ma anche per Caterina e tutti gli altri personaggi incapaci di respirare. “La Bisbetica domata” di De Nitto è un gioco in cui a vincere non sono i concorrenti, né il pubblico ma il gioco stesso. Ci si salva alla fine solo se si riesce a raccoglie o magari a sognare un bacio da labbra rosse di sangue d’amore e di vita.

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