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Peter Pan visto da Ilena Ambrosio su pac - paneacquaculture.net

ILENA AMBROSIO | Sono infinite le cose che possono raccontare le immagini, in particolare quelle ricreate dal gesto, dal movimento, dalle espressioni del volto. Nel teatro tout public l’aspetto visivo della narrazione è spesso strumento prediletto di comunicazione, veicolazione di senso e coinvolgimento. Anche – ma non solo – in assenza di parola le interazioni fisiche tra gli interpreti e tra questi e lo spazio scenico si fanno esse stesse racconto.

Una dinamica, scenica e drammaturgica, che caratterizza il lavoro di Factory Compagnia Transadriatica che, con le ultime due produzioni, conferma la predilezione per una poetica basata su quella che si potrebbe definire un’immagine narrante.

È l’immagine di uno scenario mutevole e variopinto quella che incornicia il Peter Pan di Tonio De Nitto. La bella scena realizzata da Iole Cilento e Porziana Catalano delimita lo spazio dell’azione tra pannelli animati in videomapping i quali ricreano le vivaci ambientazioni della storia e al contempo interagiscono con essa – geniale e divertente l’ombra birichina di Peter che appare e scompare da un punto all’altro. L’interno roseo della casa londinese di Wendy è solo il principio di un viaggio che comincerà nel cielo notturno di Londra, per poi sprofondare negli abissi, risalire tra la rigogliosa vegetazione dell’Isola che non c’è, entrare nella tana di Uncino; fin dentro le fauci del coccodrillo. Un’esperienza immersiva per lo sguardo.


Allo stesso modo immersi in queste immagini, i personaggi si muovono a metà tra il mimo e la danza, affidando pochissimo della performance alla parola. La scanzonata ed esuberante fisicità di Peter, l’eleganza e la tenerezza di Wendy, l’andamento “scampanellante” di Trilly e la gestualità ampia e comicamente epica di Uncino interagiscono tra loro, creando, avventura dopo avventura, quadri dall’atmosfera e dalla personalità sempre diverse.

Divertono gli ingressi western di Trilly e l’incontro con gli indiani raccontato dai piedi ornati di piume che Peter e Wendy, nascosti dietro un baule, utilizzano a mo’ di marionette; entusiasma la scena del volo tra i tetti londinesi; commuovono i momenti di tenerezza in cui gesti e movimenti in sincrono restituiscono prima di tutto alla vista l’emozione degli incontri tra i personaggi.


Tanto corpo, tanta espressività, tanto spazio alla scena. Ma la parola, seppur rarefatta c’è e, anzi, proprio l’asciuttezza della drammaturgia evidenzia con maggiore efficacia l’indirizzo semantico ed emotivo che De Nitto sembra aver voluto dare al suo lavoro.

A parlare davvero – poche parole isolate sono affidate ai personaggi – è una voce fuori campo, la voce del bambino Peter. Se, da un lato, la pièce recupera molto della versione allegra e scanzonata del Peter Pandisneyano, dall’altro proprio i testi affidati alla voce fuori campo (realizzati in collaborazione con Riccardo Spagnulo), ricoprono tutto con un velo di quella malinconia che appartiene al romanzo di James Matthew Barrie. «Un giorno mi lascerai volare via, mamma? E aspetterai il mio ritorno?». Abbandono, attesa, ritorno.

Il Peter di Peter Pan nei Giardini di Kensington ha solo sette giorni di vita e, come tutti i neonati del luogo, è metà uccello e metà umano; per questo, quando sua madre lascia inavvertitamente una finestra aperta, lui riesce a volare via dalla sua casa di Londra e torna ai Giardini di Kensington dove resta bloccato nella sua forma ibrida. Il segno di questo strappo attraversa sottilmente, ma con evidenza, tutta la riscrittura, facendo di Peter – un bambino che non sa cosa sia un bacio – un essere fragile e indifeso tanto quanto è spavaldo e temerario nelle sue avventure. Un ragazzino spaventato che, in definitiva, avrebbe solo bisogno della mamma. Ed è nella figura di Wendy che si sovrappongono l’immagine della compagna di giochi e quella della madre, di un’amica da difendere ma anche di una guida. All’inizio e alla fine, al centro dei pannelli, appare una finestra: quella dalla quale Peter entra nella casa e nella vita di Wendy per la prima volta e la stessa dalla quale lei, oramai anziana, guarderà tutte le sere aspettando di ritrovarlo, come, forse, la madre che l’aveva lasciato volare via.


Un’operazione delicata e, al contempo, entusiasmante che – al netto di qualche rallentamento del ritmo interpretativo che un più lungo rodaggio in scena certamente correggerà – conferma la cura e l’originalità drammaturgiche e sceniche della Compagnia.





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