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"...un rinnovato Shakespeare in scena al Teatro India."

Storie senza tempo sono quelle narrate da Shakespeare il cui protagonista è l’uomo con i suoi desideri, i dubbi, i sogni, i moti dell’anima, i comportamenti che vengono messi sotto la lente d’ingrandimento dal genio inglese per diventare Storia. L’Universale carattere delle opere shakespeariane ha fatto sì che molti si avvicinassero ai suoi drammi per prendere ispirazione e creare opere nuove, all’insegna sempre di quello sguardo da sociologo utilizzato dall’autore, per dare di volta in volta una nuova lettura a quella realtà che per sottrazione o addizione si è andata evolvendosi. Il progetto portato avanti dalla compagnia Factory – Compagnia Transadriatica consiste nel fare luce su una porzione di realtà contemporanea attraverso le storie di alcuni personaggi shakespeariani e dopo Sogno d’una notte di mezza Estate, Romeo e Giulietta conclude il trittico al Teatro India di Roma con La Bisbetica Domata.


Un’opera forte, ambigua e non facile, nella lettura, da mandar giù dopo anni e secoli di battaglie volte al raggiungimento di un equilibrio tra i sessi e all’ottenimento dei pari diritti tra uomo e donna. Le opere di Shakespeare, come le favole, sono contenitori di un microcosmo e da questa similitudine che la compagnia è partita per fare della Bisbetica Domata una favola dal sapore agrodolce.


Padova, luogo in cui è ambientata la commedia, diviene – grazie alla scenografia composta da pannelli che ad ogni scena gli attori spostano sul proscenio – un paese delle fiabe con le facciate e gli interni delle abitazioni dei personaggi dipinte come in un libro dei fratelli Grimm.

Un violento e macabro spettacolo di marionette che presenta Caterina, la bisbetica, nel prologo come una sposa automa i cui piedi, mani sono mossi dagli invisibili fili impugnati dal padre, il quale vuole sbarazzarsi di lei maritandola al fine di poter dare in moglie la figlia più giovane circondata da pretendenti.


Il testo tradotto e adattato da Francesco Niccolini per la regia di Tonio De Nitto, gioca con le rime baciate tramutando – a tratti – i versi in canzoncine che in bocca ai personaggi, resi delle macchiette a rappresentare un mondo di ricchi interessato solo al soldo e alla mercificazione di ogni cosa, diventano strumento di scherno verso loro stessi. Alla ribellione di Caterina verso un padre e un mondo crudele – che vede la donna come un ornamento – si contrappone la docile sorella che capite le regole del gioco per stare al mondo rinuncia a se stessa accogliendo la vita nella sua frivolezza. Attorno a lei uno sciame di pretendenti che messi l’uno contro l’altro architetteranno piani, sotterfugi per poterla finalmente avere tra le loro braccia.

Le sottotrame comiche alleggeriscono il tema centrale dell’opera e danno il tempo al perverso percorso di rieducazione imposto da Petruccio, il gentiluomo che ha deciso di prendere in moglie Caterina perchè molto ricca, di procedere sotto le luci chiaroscurali che in ombra sul palcoscenico mostrano e non mostrano i due quando soli assieme si trovano.


Caterina, splendidamente interpretata Angela De Gaetano, passata come un sacco dal padre al marito; patita la fame, il sonno e privata della gioia di vivere di cui invece il personaggio inizialmente sì fa portatore, verrà domata e si abbandonerà nelle braccia dell’uomo che con violenza l’ha fatta sua.


L’opera , scritta nel’600, è un affresco della società di quel periodo che alla donna lasciava la cura del focolare e nient’altro, rappresenta una critica a quel mondo che letta con gli occhi di oggi perde di comicità e fa sorgere un senso di pietas, di rabbia e di sofferenza nei confronti della condizione della donna che ancora oggi si trova privata di alcuni suoi diritti e sotto lo schiaffo maschile.


La rappresentazione , portata in scena dalla Factory, prendendo le parti della “bisbetica” Caterina sottolinea il tema della violenza sulle donne, ripescando un difficile personaggio shakespeariano che non ha perso la sua forza.

Il lavoro sulla messa in scena ancora poco si distacca dal modo in cui viene narrata l’opera che non è un sogno di un ubriacone o la rappresentazione di un gruppo di attori – come nel prologo Shakespeare ci presenta la storia – ma rappresenta la realtà, è specchio di un amore malato, di un rapporto masochistico in cui entrambi sono vittime; l’uno di se stesso e della violenza che egli stesso esercita e lei della violenza di lui.


Shakespeare rinnova quindi se stesso sulla scena ma lo spettatore esce dalla sala con l’amaro in bocca, come se ancora molto dovesse essere detto sulla complessità di un personaggio, di una storia che è la storia della complessità delle dinamiche dei rapporti umani, del rapporto con il proprio io, del rispetto verso la propria vita e quella degli altri.

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