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“Merdre!”, è tornato Padre Ubu di Mauro Marino

Su "Hubu Re" spettacolo tratto da "Ubu roi" di Alfred Jarry realizzato dalla Factory Compagnia Transadriatica andato in scena al Teatro Comunale di Novoli il 2 e 3 ottobre 2020.

Ubu muove all’attacco del senso: surrealismo e assurdo si mescolano cementando la verità (le verità) della Storia, nel suo ripetersi senza mai far tesoro delle esperienze degli uomini. Il Potere è sempre Potere, s’insegue nel suo tornare, con le sue manie, le sue “malattie”, la sua povertà ideale. Una lezione teatrale, quella di Alfred Jarry che ha attraversato e continua ad attraversare il Tempo. Quello dell’Autore, con un innamoramento drammaturgico che lo ha accompagnato per l’intera vita, dal 1888, epoca della creazione e delle prime prove “patafisiche”, fino alla fine della sua esistenza segnata da una sua profonda identificazione con il personaggio; e quello di numerosissimi artisti e e teatranti che hanno scelto di confrontarsi con la leggendaria figura del “burattino” jarryano.

In questo nostro sfortunato 2020, con l’Ubu Re, diventato per l’occasione “Hubu”, s’è confrontata la Compagnia Transadriatica Factory con un gruppo di attori italiani e greci, con disabilità e non, per celebrare la Giornata della Cooperazione. Un allestimento, quello curato da Tonio De Nitto con Fabio Tinella, che pare far tornare Ubu alle sue origini quando Jarry lo provava con le marionette in un granaio o con le ombre in un appartamento prima di giungere a Parigi nel suo laboratorio, il “Calvario del trucidato”, dove il “ciclo di Ubu” prese corpo d’attore.

La Patafisica, «scienza delle soluzioni immaginarie», nell’allestimento della Factory, con leggerezza ed eleganza, graffia. Una scena – curata da Iole Cilento e Porziana Catalano con i costumi di Lilian Indraccolo - armonizzata nei colori, compatta, piana, “disegnata” nella sua frontalità, con gli sfondi proiettati che paiono i fondalini di carta di una baracca dei pupi. La baraonda goliardica vive con la musica, azioni fulminee, sospese, muovono il teatro nel suo doppio: il paradosso simbolico della scena nel dialogo con la vita reale che mai veramente riesce a sdradicare il male del pregiudizio. Chi è l’usurpatore? Dov’è il trono di Polonia? Serve a qualcosa l’esercizio del conflitto, la guerra, il massacro? Facile la risposta: “No, non serve!”, eppure i più bassi istinti umani ancora scrivono la Storia e allora: Chi è oggi Ubu? Chi meglio lo interpreta nella realtà. Anche qui la risposta è facile, i nomi son scritti nella quotidiana cronaca politica.

Quella “H”, aggiunta a “ubu”, nel titolo coniato dalla Factory, completa il senso più vero e intimo dell’opera di Jarry: ognuno degli attori in scena è “autore di se stesso”, con il dono della sua diversità, del proprio mistero, irriducibile al canone del tipico, del conosciuto, del consueto. La provocazione surrealista di Jarry si moltiplica mettendo in moto una formidabile macchina goliardica che con il far ridere sfida l’amaro dell’esistenza. «L’assurdo esercita lo spirito e fa lavorare la memoria», ha affermato Jarry svelando la carica rivoluzionaria del suo teatro, nel portarlo all’attacco del dominio del bello, della superficialità, della finzione. Un’opera utile in questo tempo di irresponsabilità, dove pare impossibile scegliere di autodeterminarsi, di prestare attenzione all’altro, di essere con l’altro nell’impresa che chiama tutti ad aver cura del Mondo.

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