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CATERINA: LA BISBETICA DOMATA

Sabato 31 Gennaio presso il Teatro Kismet di Bari è andata in scena “La Bisbetica Domata” di William Shakespeare con traduzione e adattamento di Francesco Niccolini, regia di Tonio De Nitto e con Dario Cadei, Ippolito Chiarello, Angela De Gaetano, Franco Ferrante, Antonio Guadalupi, Filippo Paolasini, Luca Pastore e Fabio Tinella.

Lo spettacolo è una produzione di Factory Compagnia transadriatica che si cimenta con un’altra opera di Shakespeare, dopo Sogno di una Notte di Mezza Estate e Romeo e Giulietta: storie in apparenza fiabesche, scrigno di verità nascoste.

Anche “La Bisbetica Domata” si presenta come una favola grazie anche alle splendide scenografie in movimento di Roberta Dori Puddu e Luigi Conti che, assieme ai giochi di luce di Davide Arsenio, alle musiche di Paolo Coletta e ai costumi di Lapi Lou, predispongono il pubblico a gustarsi una bella commedia che non mancherà di strappare molte risate già dall’inizio, quando i personaggi entrano in scena muovendosi come le marionette di un carillon.

Artificio scenico interessante, preludio al finale che trasformerà, l’apparente commedia, in una ben più triste tragedia.


“Questa è la storia di Caterina, di sua sorella Bianca e di un intero villaggio. Questa è la storia di un villaggio che ha ferito e svenduto un bene prezioso. Questa è una storia che avrebbe potuto essere una favola”.


Ci sono due sorelle, Caterina e Bianca, una ribelle e spigolosa che non si piega al volere del padre e per quello risulta l’inadeguata, la non allineata, la pazza di questo villaggio. Poi c’è Bianca invece di cui Battista, il padre appunto, tesse i fili come fosse una marionetta.

Bianca ha molti pretendenti, perché buona e obbediente, Caterina invece no. Nessuno infatti vuol domare quel carattere ribelle che in realtà nasconde solo il desiderio di non essere trattata come l’oggetto di una compravendita e di non voler rinunciare a vivere liberamente l’amore e i sentimenti, piegati invece alla logica di formali contratti in cui il denaro vale più del bene.

Se non si sposa Caterina non si può sposare Bianca. Così iniziano un insieme di cospirazioni segrete dei pretendenti di Bianca, la cui comicità stride violentemente con il dramma che si sta per consumare.

Caterina viene data in sposa a Petruccio, personaggio odioso e violento ma molto ricco,aspetto fondamentale per il contratto di nozze. Per un attimo ma solo per un attimo, pur destando Petruccio dal primo istante, la giovane spera in un liberatore ma i suoi sogni svaniranno molto velocemente.

Petruccio riduce Caterina in una sorta di schiavitù fatta di digiuni, torture psicologiche e poi anche fisiche che saranno visibili al pubblico solo nelle scene finali, quando avranno raggiunto il loro apice.

Caterina torna ad essere “una marionetta appesa ad un filo”, questa volta però non desta risate ma sconforto.


La donna priva ormai di ogni dignità, col volto tumefatto e i vestiti strappati canta in lacrime, abbracciando il suo carnefice: “però mi vuole bene, / tanto bene, / bene da morir”.

Lo spettacolo si sposa tristemente con l’attualità anche se non vuole essere una bandiera del femminicidio. Il pubblico è invitato a percorrere la storia per intero, dal disicanto della favola iniziale al tutt’altro che lieto fine, facendosi così la sua personale opinione.

I personaggi sono tutti ben delineati nei loro tratti, maschere perfette dell’avarizia, della cupidigia, della bugia, del sotterfugio, della violenza, dell’egoismo. Indubbiamente però Petruccio è colui che più rimane impresso nel pubblico per la sua crudeltà che ammutolisce, atterrisce, sconcerta, scuote al punto da destare il desiderio di salire sul palco, “prenderlo a pugni” e salvare Caterina.

Il moto di rabbia, seppur silenzioso, è palpabile in platea. Quando il teatro crea emozione, il compito degli artisti è decisamente ben riuscito.

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