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Nella Cenerentola di De Nitto la fanciulla salva il timido principe

E alla fine riesco a vederlo. E' la centesima replica di Cenerentola delle compagnie leccesi Factory ed Elektra. E viene dopo i consensi raccolti non solo in Italia ma anche all'estero, con il successo a Edimburgo, dove lo spettacolo è stato presentato nella Yurtakids allestita per il Fringe.


Lo vedo da un palchetto del Teatro Paisiello di Lecce nel quadro di Storie e Storielle, la piccola rassegna natalizia ospite del cartellone Magie di una festa organizzata dal Comune di Lecce in collaborazione con il Teatro Pubblico Pugliese. Un contenitore dedicato a piccoli e piccolissimi ma capace di rapire anche i grandi.


Teatro ragazzi? Teatro-danza? I punti interrogativi iniziano a materializzarsi con le prime luci che inquadrano l'immenso armadio delle meraviglie dal quale nascono le azioni ed intorno a cui giocano le eccellenti danzatrici e i due splendidi attori.

Ma le domande vengono subito ricacciate nel reame dell'intelletto, vinto dalla magia di un teatro la cui profondità non richiede complessità. Solo il corpo, egregiamente educato ed educante, e la parola, quella intelligente ed essenziale, che diventa pop-grammelot nelle sorprendenti mani di Tonio de Nitto, il quale fonde napoletano e inglese ma anche francese e qualche punta di dialetto pugliese (con il surplus di riuscire ad arrivare ovunque nel mondo).


Il giovane regista ce lo aveva annunciato, all'epoca di "Romeo e Giulietta" (2012), che il suo progetto allora in divenire sarebbe andato nella direzione di un ancora più radicale lavoro sul linguaggio. E il non-linguaggio parlato principalmente dallo straordinario Fabio Tinella arriva forte e chiaro nelle sue intenzioni destrutturanti. Le esercitazioni shakespeariane precedenti (iniziate con il "Sogno") dovevano condurre, qui, alla manifestazione di un vero e proprio talento per la contaminazione.


Ecco dunque Genoveffa e Anastasia portare i loro pesanti sederoni sostenuti da corpi di legno, marionette governate da una matrigna trampolata che le manovra dall'alto come un burattinaio. Una tenutaria quasi, e fine ancorché non raffinata indottrinatrice di tecniche dell'acchiappo (di un buon marito), e che rimanda da quella sua altitudine priva di pudore ad un oscuro mozartiano alla don Giovanni. E nel contrasto la morbidezza fanciullesca di Cenerentola, che tuttavia non teme di attestarsi quando occorre: «E io?».


E poi “o' principo”. Ingabbiato in abiti troppo stretti per le sue paffutaggini, e malinconico per una vita alla quale non riesce a partecipare, quella di una corte che si sente ma non si vede giacché isolato in una bolla di silenzio fin dalla nascita.

L'incontro fra due cuori tanto ingenui quanto inconsueti, per noi che viviamo ancora nel tempo dei superman, è insieme toccante e divertente, con i piccoli tentativi di avvicinamento alla maniera dei bimbi o di chi vive separato dal mondo reale. Ed è accompagnato dalle sempre impeccabili scelte musicali della regia, che in questo caso opta per alcuni classici della televisione italiana anni Cinquanta, ma senza dimenticare Rossini e Prokofiev.


Accanto alla scarpetta bianca dell'ultima delle tre eleganti mise donate misteriosamente alla giovane protagonista per i tre balli consecutivi (un meccanismo, quello della ripetizione, che innesta un ulteriore elemento di valore all'insieme poiché raggiunge l'obiettivo di aderire in maniera permanente all’immaginazione dei bambini) si allinea finalmente uno stivale rosso, di quelli con il pelo, tanto di moda fra gli adolescenti di oggi. Urgente metafora di un principe salvato dalla sua Cenerentola e con la quale vivrà felice e contento mangiando tanti cuori di cioccolato...

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