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“La shake-ispirazione pop di Factory”

Un altro Shakespeare per il giovane regista Tonio De Nitto e Factory Compagnia Transadriatica. Se già con il "Sogno di una notte di mezza estate" aveva convinto, definendo una cifra stilistica decisamente riconoscibile nell’attuale panorama dei giovani di talento, con il "Romeo e Giulietta" non solo non delude ma, anzi, conferma alcuni elementi di continuità e di valore: una modalità pop del teatrare che è shakespeariana nelle intenzioni e nell’immaginario e che introietta, con maestria, insieme ad idee nuove ed intriganti, l’originario elisabettiano da cui trae ispirazione per innovarlo e riattivarlo nel qui e ora.


Il testo non è un adattamento ma una nuova traduzione che porta la firma di Francesco Niccolini al quale è stato richiesto, per attivare una drammaturgia attenta al mondo degli adolescenti che Factory frequenta attraverso l’impegno formativo nelle scuole, di tenere presente anche il romanzo "Il ballo" di Irène Némirovsky.

Il tema che ha attivato l’interesse nei confronti di questo plot, racconta il trentatreenne regista leccese in occasione di un incontro presso l’Università del Salento, «è quello delle problematiche relazionali all’interno del nucleo familiare, l’enorme distanza di aspettative fra madri, padri e figli che nella tragedia shakespeariana conduce all’inspiegabile cancellazione, in un attimo, di un gruppo di amici e all’annientamento di due famiglie».


L’essenzialità del progetto ha coinciso anche con la decisione, per una questione di presenza scenica, di ridurre al minimo le presenze attorali e di lavorare con sette interpreti per dodici ruoli, anche diametralmente opposti ed appartenenti a casate diverse. «Il che ha contribuito ulteriormente – continua a spiegare – a quella divaricazione fra i ragazzi e il resto della comunità, affidando quest’ultima ad una visione grottesca, quasi comica, sullo sfondo del tragico epilogo. Niccolini conosce il teatro di figura (ha studiato e realizzato "Roncisvalle!" insieme a Massimo Schuster) e alla fine è venuto fuori quasi un 'teatro per pupi'. La rima inoltre è stata una bella sfida: dopo i primi giorni di prova in cui iniziavamo ad interrogarci sulla credibilità, il risultato ci ha colti di sorpresa, in particolare quando ci siamo accorti che nel momento in cui Fabio Tinella (Romeo) e Angela De Gaetano (Giulietta) entravano nella loro 'bolla dell’amore' era come se iniziassero a parlare una lingua tutta loro».

Isolati insieme nelle loro cuffie wi-fi: lei risoluta ed ironica, lui (come ogni Romeo) inconsapevole ed effimero fino alla disperazione.


Il che fa ritornare alla mente il "Sogno", dove gli attori provenienti dai Balcani recitavano nelle loro lingue madri, e questo 'scegliersi la propria lingua' iniziava ad imporsi come elemento caratterizzante. Un dettaglio di continuità che, conferma il giovane regista, «forse inconsciamente all’inizio e in maniera sempre più consapevole adesso, anche con il lavoro su Cenerentola, dove il principe addirittura parla il linguaggio dei segni, è diventato un denominatore comune del mio baby-percorso».


La stratificazione linguistica, nel caso di "Romeo e Giulietta", è addirittura più complessa ed interessante: oltre ad essere una produzione di Factory, il progetto coinvolge altri tre nuclei attorali molto radicati nel territorio salentino, che sono Nasca Teatri di Terra con Ippolito Chiarello nei ruoli del padre di Giulietta (straordinariamente attuale nella violenza delle parole) e dello Speziale (un cameo di senso e corporeità), Principio Attivo Teatro con Dario Cadei nei ruoli della Balia (forse la più divertente della storia) e del Principe di Verona (intrampolato al di sopra delle parti), e Induma Teatro con Lea Barletti nel doppio iperbolico ruolo della madre di Giulietta e del padre di Romeo.

Ecco dunque che, al di là del duplice registro linguistico generazionale, una babele di linguaggi teatrali differenti prendono la parola e diventano a loro volta elementi di valore nella resa finale attraverso un lavoro quasi corale nella costruzione della messa in scena.


«L’esempio che vale per tutti è proprio quello di Lea che – tiene a sottolineare il regista nel suo ruolo di guida – oltre ad incarnare due volte il gioco del travestimento, ha agito in maniera un po’ anarchica decidendo di non vestirsi da uomo ma di mantenere il look da strega cattiva disneyiana in tacchi a spillo e di aggiungere un unico segno connotante: una giacca maschile e un cappello». Ulteriori contributi vengono dagli altrettanto bravi Luca Pastore, nei ruoli di Mercuzio e Paride, e Filippo Paolasini, nei ruoli di Tebaldo e frate Lorenzo.La playlist contribuisce a rendere fluida la narrazione con alcuni stacchetti esilaranti: dal valzerino del preludio che accoglie il pubblico prima della presentazione affidata alla voce di un animatore da Luna Park, al balletto della Fiesta che cambierà le vite di tutti.

Le luminarie di una sagra di paese dominano la scena e non serve altro, se non la tecnica della luce, a comporre di volta in volta i simboli della casa e quelli della chiesa. Entra ed esce un carretto utile tanto come balcone, in una versione che coinvolge tutti gli interpreti nel registro del comico, quanto come stanza dell’addio, in una delle scene più vere e convincenti, ormai dentro il registro del tragico. Un destino che tuttavia vince anche la morte, in una danza che continua oltre la fine...

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