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Vintage Transculturale

Entro per la prima volta al Teatro Paisiello in occasione di un matiné che ho molto atteso, l’ultima replica del Sogno di una notte di mezza estate nella versione di Factory Compagnia Transadriatica. Entrano con me fiotte di adolescenti e, pur nella certezza che farò molta fatica a tenermi chiusa nella bolla zen di concentrazione che attivo in caso di emergenza, mi dico al fine aperta a questa circostanza, che non è poi così lontana da un originario elisabettiano. Il vociare fra i palchetti, le risatine e gli ammiccamenti.


Tanto poi, mi dico, ci penserà l’intreccio shakespeariano ad arpionare l’attenzione e a produrre la magia. E invece no.La preoccupazione iniziale di chi introduce la rappresentazione viene confermata dalla ingiudicabile latenza degli accompagnatori e le regole del gioco del teatro ignorate quasi di proposito, se non violate. Che tristezza e che frustrazione.Fortunatamente le pareti più importanti, al di là della quarta, sono più solide della cattiva volontà. Ed eccomi quindi ad assistere ad una lezione di professionalità che aggiunge merito ad una produzione di coraggio già nelle intenzioni.


Confrontarsi con Shakespeare e con uno dei copioni più rappresentati di tutti i tempi è infatti una bella sfida, ma Tonio De Nitto e gli attori, italiani, serbi, croati e montenegrini, la superano con belle idee ed una performance eccellente. Solo luci e musica ad enfatizzare l’impeccabile lavoro del corpo. Semplicemente un sipario composto di lumicini che scendono a metà scena in verticale segna il confine tra il mondo dei sensi e quello delle ombre. E tra l’una e l’altra parte giocano gli attori all’incantesimo dell’amore.Lo pronuncia Oberon nella lingua dell’attore che lo interpreta, e a pensarci non c’è nulla di più ovvio, dato che il suo interlocutore è creatura di un mondo che parla una lingua tutta sua, elfo calibanico che danza la sua nudità.Le dimensioni drammaturgiche s’inanellano con fluidità fra le tinte forti di un RGB teatrale adattato alle esigenze del main plot, le scelte costumistiche retrò, e la selezione musicale anni Sessanta che attinge ad un repertorio “italia-mericano”, da Celentano ai Platters, fino ad uno straordinario cameo al rallenti.


Lo stratagemma più interessante, ancorché molto ardito, resta tuttavia quello che interviene nel meccanismo del teatro-nel-teatro con il coinvolgimento dello spettatore, tre per l’esattezza. Ecco dunque un trascinante Bottom coordinare insieme a Quince le prove del finale oltre le quali, poco prima degli applausi, chiudono il sogno le uniche parole mai pronunciate da Puck e lo risolvono con un «Buona notte!».

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