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Il Sogno di De Nitto. Shakespeare? Un divertissement pop e colorato

Il minimo comun denominatore delle numerose esperienze di cui l’eterogeneo puzzle della giovane scena teatrale pugliese si compone potrebbe emergere nella più netta distanza dai seriosi concettualismi che animano parte della ricerca performativa contemporanea. I ragazzi pugliesi non sembrano volersi interrogare sui formalisismi attorno ai quali molti dei gruppi del centro-nord hanno creato il proprio segno. Qui, dove l’influenza napoletana si mescola prepotentemente con il vento dei Balcani, gli artisti della scena contemporanea hanno ancora i piedi ben piantati tra i postulati del teatro classico: per carità non fraintendete, non parlo della prosa ingessata di cui sono pieni gli stabili da nord a sud dello stivale, ma di un teatro fatto di carne e sangue, di attori, danzatori e di parole, di testi che viaggiano tra le mani dei registi riscoprendo il suono del dialetto, o al contrario di un italiano concreto, senza tralasciare la felice mescolanza della nostra lingua con altri idiomi.


Nell’ultimo caso rientra anche il lavoro di Tonio De Nitto sul Sogno di una notte di mezza estate di William Shakespeare, nel quale attori italiani, serbi, croati e montenegrini lavorano insieme per creare un colorato impasto linguistico con cui nutrire i personaggi dello stralunato cartoon. Lo spettacolo, nato nell’ambito di un progetto di cooperazione tra le Regioni Puglia e Abruzzo con i paesi dei Balcani grazie al programma NPPA Interreg IIII Cards Phare Factory ha ormai affrontato decine di repliche ed è stato anche uno dei lavori selezionati nella showcase milanese di Puglia in scena con cui il Teatro Pubblico Pugliese ha promosso alcuni dei propri artisti nel cartellone dell’Elfo Puccini. È capitata l’occasione di vederlo a Bari, in una pomeridiana domenicale al Teatro Forma – spazio voluto dalla Fondazione Orfeo Mazzitelli al quale il comune si è dovuto rivolgere per sopperire alla mancanza del Piccinni in ristrutturazione e dove le poltroncine in pelle nera sistemate in file ravvicinate sacrificano la comodità allo sbigliettamento.


Uno spazio forse più adeguato alla musica che al teatro, con il legno che ne riveste gli interni come nelle migliori sale da concerto. Fa ben sperare questa platea piena che lascia solo qualche posto libero tra le primissime file laterali, anche se è una domenica pomeggio in cui la concorrenza più diretta – ovvero di un teatro che aspira a fare cultura oltre che intrattenimento – è solo quella del Kismet, per il resto siamo di fronte a un’offerta decisamente più ristretta rispetto alle grandi città. È un pubblico di abbonati, variegato per età, e allegro; nel sommesso chiacchiericcio si intuisce una frenesia partecipativa.


Ben si sposa quest’attitudine del pubblico con la festa che De Nitto organizza sul palco facendo del Sogno shakespeariano una favola moderna per grandi e piccini. L’opposizione tra i due mondi, quello del reale, dove le famiglie si scambiano i figli per sposi iniziando ad annodarne i destini nella direzione inversa rispetto a dove li porterebbe il loro amore, si oppone cromaticamente al bosco dove tutto può accadere.

Gli abiti scuri del duca di Atene Teseo e di sua moglie Ippolita diventano sgargianti quando gli stessi attori vanno a giocare il ruolo di Oberon e Titania, re e regina delle fate. Poi c’è Puck, irresistibile omuncolo dal ciuffo verde come il triangolo che gli nasconde l’ambigua sessualità.


Cenni di una tiepida ricerca sull’attore-marionetta si mescolano a l’interessante e funzionale lavoro fatto sulle lingue slave – che inevitabilmente diventano l’idioma del regno delle fate – e a trovate più “facili” quali l’accompagnamento musicale, pop nostalgico (da Cuore matto a 24 mila baci), oppure l’utilizzo del pubblico all’interno del terzo plot, la recita degli artigiani, praticamente svenduto a un approccio comico dai meccanismi sin troppo televisivi.

Un teatro quello di De Nitto che trafuga da Grease la vivacità e la presa sul pubblico – i ritmi talvolta sono da musical ed è impossibile annoiarsi – , da Tim Burton eredita atmosfere e musica finale, ma si dimentica ahinoi di affondare nel testo, di sviscerarne gli opposti piani finendo per creare un colorato sogno, divertente quanto una festa; ma come nel migliore dei baccanali quello che rimane addosso il giorno seguente è solo il ricordo di una fugace ebbrezza.

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